I caratteri essenziali dell'artigianato sardo sono l'originalità e la semplicità
dell'oggettistica che da essa ne scaturisce. Tutto ciò, dipende da una ricca tradizione locale
che si avvale di storia, costume, arte e vita.
Quest'insieme d’elementi ha fatto sì che
l'artigianato sardo venisse definito come autentica e vera arte popolare.
Risalire alle sue
origini non è un cammino semplice, ma un viaggio che ci riporta alla preistoria. C'é chi fa
risalire al periodo preneolitico i vasi in sughero, tuttora molto utilizzati dai nostri pastori,
e al neolitico le stuoie prodotte nei villaggi dei pescatori.
L'orbace e le maschere lignee
vengono fatti risalire all'età nuragica, mentre la meravigliosa brocca oristanese, la
fiaschetta e la "scivedda", caratteristico contenitore presente in molte cucine sarde, vengono
accostati al periodo romano.
L'influenza bizantina è presente nella tessitura con motivi
orientali quali l'albero della vita e i pavoni che si fronteggiano, le aquile e le colombe o
disegni geometrici come cerchi o rombi. Sempre all'epoca bizantina si fanno risalire le decorazioni
delle cassapanche nuziali, dei gioielli in argento e dei ricami. Si fa risalire al 1700 la
nascita del colore nei tessuti a disegno floreale. Tutte queste attività rielaborate nei secoli
dalle abili mani dei maestri artigiani sardi offrono, ai giorni nostri, autentici tesori d'arte
e bellezza.
La ceramica
Nonostante l’importanza di quest’arte antica, non vi è nulla che possa ricondurre alle sue origini, alla sua storia, né tanto meno esiste una tipologia della ceramica popolare sarda. Sappiamo, peraltro, che fu un artigianato non artistico ma un artigianato d’uso, rivolto, quindi, alla produzione delle stoviglie.
L’artigianato d’uso si svolgeva all’interno delle mura domestiche. Il luogo della produzione era il tipico cortile della casa campidanese. Lì vi erano il pozzo per l’escavazione dell’argilla, il deposito per le materie prime da stagionare, le vasche per la decantazione e la levigazione, il forno, la tettoia per far essiccare i vasi e l’angolo riservato al tornio.
Le uniche notizie che ci giungono riguardano gli oggetti più diffusi e venduti.
Questi erano i contenitori usati dalle donne nel lavoro di produzione domestica e quelli per il trasporto e il consumo dei liquidi in campagna.
La sposa possedeva un vasto corredo di terracotta comprendente le brocche (marigas) per il trasporto e la conservazione dell’acqua, gli orci (brugnas) per la conservazione dei cibi, le enormi conche per la lavorazione della pasta (sciveddas), lo scolapasta, i piatti, le scodelle e le pentole.
Oltre alle brocche speciali che erano usate dai contadini (su frasku e sa stangiada), venivano prodotti dei tubi assai corti che servivano da docce per le case e i recipienti (tuvus) delle norie con cui si raccoglieva l’acqua dai pozzi.
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La tessitura
Il settore trainante dell’artigianato sardo è rappresentato, da diversi anni a questa parte, dalla tessitura. Questo primato è dovuto sia al prodotto qualitativamente valido, sia alle innate capacità lavorative degli artigiani sardi.
Il prodotto finito è ottenuto dall’utilizzo e dalla combinazione delle materie prime, delle tinture, degli strumenti, delle tecniche di lavorazione e dei motivi decorativi.
La lana è la materia prima per eccellenza dei prodotti tessili sardi. In passato tutta la lana prodotta dalle pecore sarde era impiegata nella produzione tessile nell’isola.
Dopo la tosatura, la lavorazione del prodotto grezzo era affidato alle stesse donne di casa, tra l’altro abili tessitrici. Oggi possiamo affermare che la lavorazione in casa della lana è del tutto scomparsa.
Dopo la tosatura, la lana è lavorata in industrie fuori della regione.
Altri materiali usati per la tessitura sono il cotone, sempre importato, il lino coltivato, in passato, in tutta l’isola, la seta, il cui bacco era allevato nell’isola,
utilizzata per alcuni capi dell’abbigliamento femminile e la lana caprina.
Anche la tintura diveniva una prerogativa delle donne nella fase preliminare della tessitura. Le tinte erano ottenute essenzialmente da piante e minerali e, a differenza di quelle sintetiche, davano maggior affidabilità per resistenza nel tempo e una miglior qualità nella tonalità.
Il più antico tessuto sardo è l’orbace, interamente in lana. Esso è stato il prodotto più comune della tessitura fino all’inizio del 1800. Era elemento essenziale del vestiario tradizionale dei sardi ed era di diverse qualità secondo l’uso e della classe sociale cui era destinato. Grazie alle sue caratteristiche d’impermeabilità l’orbace era usato per confezionare "su saccu de coberri" una coperta utilizzata dai pastori come mantello e anche come tenda.
I migliori prodotti della tessitura sarda sono quelli destinati all’arredamento della casa quali i copricassa, la cui funzione è di ravvivare le austere casse di legno intagliate, un elemento che non doveva mancare nell’antica casa sarda.
Altri manufatti tipici dell’artigianato sardo erano is fenugas o burras, grande coperta da letto, is bertulas, le bisacce in cui i pastori e i contadini vi riponevano gli strumenti da lavoro, gli arazzi e i tappeti.
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Il ricamo
Fra le molteplici attività svolte dalle donne sarde durante l’arco della giornata, vi era il ricamo. Riuscivano a cucire e ricamare i vari tessuti, da destinare ai corredi o a rifinire l’abbigliamento tradizionale sardo, non soltanto con filo e seta, ma anche con oro e argento. Erano rifinite con ricami e merletti soprattutto le camicie del costume tradizionale.
Come già accennato, in Sardegna si ricamava per decorare tornaletti (ingirialettus), coperte (fanugas), copricasse
(coberibancus), bisacce (bertulas), collari per ornare gli animali in occasione di feste e cerimonie (gutturas, kollanas).
Molto importante, legata all’arte del ricamo, è la produzione del filet il cui centro di creazione per eccellenza era Bosa.
Era fatto largo uso di ricami soprattutto sul costume tradizionale, e in particolar modo in quello femminile. Tutti i ricami presenti in ogni parte del costume contribuivano ancor più ad impreziosirlo.
Non si hanno notizie su tecniche di lavoro, materiali, stili delle decorazioni, sui produttori, sugli acquirenti e sull’esistenza di un mercato, se non dai primi del novecento.
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Il legno
Il falegname (mastru ‘e linna o mastru ‘e ascia o fusteri), il mastro carraio (mastru ‘e karru) e il fabbro (frailadzu o ferreri), rappresentano da sempre, nell’artigianato sardo, le figure più professionali e specializzate.
Il legno anticamente usato per le lavorazioni era il castagno, ma veniva fatto anche uso del noce, del rovere, del ginepro, del sughero e della ferula. Solitamente venivano lasciati al naturale o dipinti di rosso con sangue caldo di bue, capra o agnello.
Dalla sua lavorazione si ottenevano le cassapanche, intagliate a regola d’arte e che custodivano il corredo della sposa. Questi, un tempo, rappresentavano gli unici mobili delle disadorne abitazioni sarde.
Gli intagli assumevano le figure di volatili, cavalli e altri animali, fiori e simboli astratti.
Altri lavori degni di nota, che entravano a far parte dell’umile casa contadina, erano il letto, la culla, il tavolo, lo scafale portapiatti (su parastaggiu), le sedie impagliate, realizzate in legno chiaro e decorate col disegno rosso e verde del melograno. Degna di nota è quella con lo schienale scolpito laccato in rosso o blu o verde e oro.
E ancora, le arche nuziali decorate con disegni floreali, armadi e banconi delle chiese, panche, sgabelli, ripiani, telai, cornici, pannelli, figure varie, cucchiai, taglieri, pipe di radica sarda, vasi e ciotole.
Grande importanza nella cultura popolare avevano le maschere carnevalesche che evocavano antiche oppressioni e magiche suggestioni.
La quercia da sughero dimora in Sardegna ed in altre zone del bacino mediterraneo. Questo tipo di pianta trova grande sviluppo in zone alluvionali, quindi pianure e colline, ma anche su terreni dove mai l’uomo andrebbe a pensare che una pianta possa attecchire, quali quelli rocciosi e di natura granitica. La quercia è una pianta sempreverde che può raggiungere i 20 metri d’altezza ed una circonferenza di circa 3. Ha una vita media di tre secoli.
Il sughero trova possibilità di
impiego in diversi settori ad esso legati quali, in primo
luogo, l’industria per la produzione di turaccioli che va a braccetto con quella destinata alla produzione di prodotti isolanti, ma viene anche utilizzato nell’industria calzaturiera, nell’artigianato artistico e nell’industria del freddo per la
conservazione degli alimenti.
Si è affermato che il sughero trova largo impiego nella produzione d’isolanti, e questo grazie alla sua resistenza ed inalterabilità nel tempo.
Questo prodotto ha contribuito non poco allo sviluppo dell’artigianato sardo, soprattutto, delle zone che lo producono, quali ad esempio la Gallura che ha in Tempio e Calangianus i maggiori centri tecnologicamente più progrediti per la produzione di sughero, che costituisce un importante elemento per lo sviluppo economico della zona.
E’ anche vero che in Sardegna la lavorazione del sughero iniziò soltanto intorno al 1830 per opera di francesi prima, spagnoli, corsi e siciliani dopo.
Subito il governo sardo-sabaudo impose alti dazi per i prodotti di sughero importati, cercando di incentivare la produzione e la lavorazione in loco. Vantaggi sulle imposizioni li ebbero anche coloro che investirono nella creazione di fabbriche legata a questo prodotto.
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I cesti
Altro lavoro svolto nell’ambito dell’artigianato domestico, é quello dell’intreccio. Soprattutto le donne, un tempo, erano educate a quest’arte fin da bambine apprendendo l'arte dalle anziane.
I prodotti ottenuti con l’intreccio richiedono grande impegno e capacità di lavorazione delle materie prime.
Con l’arte dell’intreccio si creano corbule, panieri, canestri, cestini, nasse, reti, funi.
Le materie prime sono date da piante quali il giunco, culmi di grano, l’asfodelo, la palma nana, la canna, germogli d’olivastro, salice, mirto.
Secondo le tecniche di produzione utilizzate, in Sardegna, distinguiamo quattro tipi d’intreccio: quello a spirale, a graticcio, in diagonale e quello per la realizzazione di stuoie e di steccati in canna.
L’artigianato del ferro cominciò a svolgersi in Sardegna nelle rustiche botteghe dei villaggi, dove fiorente era la produzione di ferro battuto. Un tempo, degni di nota, erano le produzioni d’archibugi a pietra focaia, gli orologi delle torri campanarie e gli utensili necessari per il lavoro nei campi e nelle officine.
Attualmente il ferro è adoperato nella produzione di speroni e morsi per i cavalli, delle meravigliose lame d’acciaio, i migliori coltelli del mondo, le così dette "leppas" dalla lama affilatissima e dall’impugnatura in corna di montone o di muflone, e poi spiedi, graticole, alari, girarrosti, fantasiosi animali, ringhiere, cancellate, lampadari, coltelli d’uso domestico, arnesi da taglio e attrezzi agricoli.
Fra i metalli lavorati vi era il rame. Non era difficile, in passato, trovare nelle case sarde vari tipi di caldaie in rame e i bracieri con il bordo in ottone.
A questo proposito ci sembra doveroso citare gli esperti e abili ramai di Isili, rinomati nella lavorazione di questo metallo.
Fino a metà del secolo scorso tale lavorazione aveva luogo nell'officina del ramaio, "sa buttèga". Al suo interno vi lavoravano, oltre al ramaio che ne era proprietario, "su mèri", due o più operai, "is operàius", talvolta imparentati e che lavoravano alle sue dipendenze, e infine due o più rivenditori che si impegnavano a vendere il prodotto finito sulla base di un contratto in esclusiva.
La creazione d’oggetti raggiunge livelli eccelsi nella lavorazione dell’argento e dell’oro.
Dalla lavorazione di questi due nobili metalli, originariamente impiegati nella produzione di
amuleti, talismani e monili, si ottengono gioielli in filigrana, che adornano i costumi
tradizionali, orecchini di svariate fogge e significati e anelli con pietre e perle incastonate,
braccialetti, gancere, fibbie, ciondoli, collane a pendente, meravigliosi rosari, spille, bottoni
di forma mammellare, campanellini e croci. Tali prodotti, attribuiscono a chi li indossa un
aspetto originale e di sicura eleganza.