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SARDEGNA
- PICCOLO, ANTICO CONTINENTE -
Al
di là delle diverse teorie che fanno ascendere l’origine della Sardegna
al continuo e lento movimento della crosta terrestre che ha separato questo
lembo di terra dal tavolato africano, o che essa sia l’unica testimonianza
rimasta della mitica Tirrenide, sia ancora che abbia avuto origine dal
sollevamento di un enorme basamento granitico, è certo che la Sardegna
è una terra antichissima, assai più antica del resto d’Italia.
A detta degli studiosi la prima porzione che emerse, quella corrispondente
all’attuale territorio del Sulcis, risale a circa 400 milioni di anni fa.
Con un lavorìo di migliaia di anni la natura completò e saldò
le sue forme dandole il caratteristico disegno a forma di sandalo e collocandola
al centro del Mediterraneo.
Le prime tracce, perlomeno quelle rinvenute finora, di presenza umana nell’Isola
datano a circa 150.000 anni fa, nel paleolitico inferiore.
La certezza di una abitazione stabile del territorio ci portano invece al neolitico
antico, tra i 6.000 e i 4.000 anni prima della nascita di Cristo. Gli uomini
si sono adattati da allora all’asprezza del territorio concentrandosi in
piccole comunità assai distanti tra loro e dando vita ai più
importanti insediamenti nei punti più vicini alle fonti di approvvigionamento
alimentare o al centro di importanti crocevia commerciali, consapevoli
dell’importanza della posizione strategica della Sardegna.
L’impressione che gli studiosi hanno ricavato delle abitudini di vita dei sardi è
quella che, alle origini, abbiano impostato la loro economia prima sulla
caccia e in seguito sulla pastorizia,
l’agricoltura e la piccola pesca.
A parte la caccia le altre tre attività, con tutte le operazioni
connesse alla lavorazione e alla trasformazione dei prodotti, cui si aggiunse
assai presto il commercio, costituiscono da quei giorni lontani le principali
fonti di sviluppo dell’economia sarda.
Alla fine del secondo conflitto
mondiale si sono aggiunte, con alterne fortune, alcune attività
industriali. In quest’ultimo decennio si sta, infine, radicando nella convinzione
dei sardi il fatto che il turismo possa diventare l’elemento determinante
per la rinascita economica. Una rinascita che possa finalmente arrestare
il progressivo impoverimento e spopolamento della Sardegna.
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L’epoca PRENURAGICA
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documento-
Seguendo
le notizie finora conosciute dell’uomo sardo esaminiamo brevemente questo
periodo che fu, invece assai lungo, circa 3.500 anni. Da 6.000 a 2.500
anni prima di Cristo. Presumibilmente, ma tanto vi è ancora da scoprire
e studiare, l’uomo arrivò dal mare e da diverse direzioni.
Dalla Spagna e approdò nei pressi degli stagni di
Cabras e Santa Giusta;
dall’Africa e dal Medio Oriente
approdando nel golfo di Cagliari;
dalla penisola italiana, forse
Etruschi,
approdando in Gallura.
In una grotta dell’isolotto di Santo Stefano nell’arcipelago della Maddalena sono stati
rinvenuti oggetti d’uso comune e avanzi di pasti. La continuità
della presenza è confermata dal ritrovamento di ciotole e scodelline
in ceramica rozza realizzate con terre della zona. Nello stesso periodo
veniva utilizzata l’ossidiana del Monte Arci. Questo materiale vetroso
di origine vulcanica veniva lavorato con perizia dai neolitici per ottenere
arnesi per perforare e per raschiare, coltelli e punte per armi da caccia.
Altri insediamenti umani sono stati riscontrati nelle grotte in diverse
parti dell’Isola. L’uomo era ancora un cavernicolo, sfruttava grotte naturali
o ampliava anfratti in rilievi calcarei. Ancora non aveva conoscenze o
ingegno per costruirsi abitazioni autonome.
Nel Neolitico Medio, invece,
pur continuando ad abitare nelle grotte, l’uomo sardo lascia tracce che
denotano un continuo evolversi delle sue capacità e del suo desiderio
di conoscere. Le ciotole e i vasi in ceramica sono più evoluti,
lavorati e decorati con gusto; comincia a produrre, sempre con la ceramica,
figure umane; gli utensili di ossidiana o d’osso sono sempre più
rifiniti. I reperti risalenti a tale epoca dimostrano, poi, una presenza
ormai diffusa e radicata su tutto il territorio isolano.
Nel Neolitico recente, l’uomo sardo ha completato la sua rivoluzione culturale. Le grotte
non sono più l’unico tipo di dimora. Sono presenti molti villaggi
di capanne fatte con frasche cui si aggiungevano in certi casi supporti
e sostegni ottenuti con le pietre. La pratica della caccia e della pesca
hanno ormai una tecnica specializzata.
L’uomo sardo procedeva alla sepoltura
dei morti, solitamente singola, con l’inumazione nelle domus de janas
e nei dolmen. Scopre e comprende l’importanza
dei metalli il cui utilizzo segna idealmente la linea di demarcazione con l’età nuragica.
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le
grotte chiamate "domus de Janas", furono il rifugio dei Sardi prenuragici
graffitto rinvenuto in una domu de jana
monumento sepolcrale Tomba dei giganti
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L’eta' NURAGICA
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documento-
E' questa un'epoca
che segna la Sardegna fino ai giorni nostri. Le vestigia di quel periodo
hanno attraversato quattromila anni ed hanno portato intatto il loro bagaglio
di mistero e di storia. I sardi utilizzarono i nuraghe
come dimore, fortezze e avamposti presumibilmente per circa duemila anni, praticamente fino agli
albori della cristianità.
I nuraghe sono stati per molti secoli
l'unico elemento visibile di quella che fu una civiltà laboriosa
di una popolazione, tutto sommato, abbastanza numerosa che abitò
tutto il territorio isolano. Quando, però, gli storici si dedicarono
nei secoli scorsi allo studio della Sardegna nuragica lo fecero in maniera
empirica, quasi favoleggiante, adattando i risultati dei loro studi a situazioni
storiche o a correnti di pensiero della loro epoca.
Nel 1800 una analisi più approfondita e con più precisi elementi di fondatezza
fu svolta da Alberto La Marmora prima e dal
canonico Giovanni Spano.
Infine, nei primi decenni del 1900, un notevole impulso
agli studi e alle campagne di scavo fu dato da Antonio Taramelli.
Dal 1950 circa, il Professor Giovanni
Lilliu affrontò l'esame dell'epoca nuragica e dei nuraghe con criterio
metodico e rigorosamente scientifico. Nuove, numerose campagne di scavi,
oltre portare alla luce mura e reperti, hanno consentito a lui, ai suoi
allievi e ad altri studiosi di scrivere una pagina quasi completa della
storia della nostra Isola. Ma tanto resta ancora da scoprire e conoscere.
L'importanza e il valore degli studi del
Professor Lilliu gli hanno meritato la nomina ad
Accademico dei Lincei mentre il
nuraghe simbolo dei suoi studi, la Reggia Nuragica di Barumini,
è diventato monumento dell'UNESCO.
I nuraghe attualmente visibili sono circa settemila e sarebbe quasi impossibile,
in questo sito, ripercorrere tutti gli itinerari che portano ad un nuraghe.
La Sardegna da nord a sud, da est a ovest, è segnata da queste memorie
della sua storia.
"Per offrire un contributo a chi ci legge ci limitiamo
ad esporre quì di seguito lo stralcio di uno studio dell'archeologo
Giorgio Murru che, esaminando un piccolissimo lembo del territorio isolano,
dal nuraghe di Barumini fino al nuraghe Arrubiu di Orroli passando per
il villaggio nuragico di Serri, riesce a dare l'immagine del fabbricato
nuragico, con i relativi riflessi ambientali e sociali, in maniera nitida
e semplice." Uno spaccato, che oggi come tremila anni fa, potrebbe riferirsi
a qualsiasi regione della Sardegna.
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veduta aerea del nuraghe di Barumini
il Nuraghe Arrubiu di Orroli
bronzetto raffigurante la dea madre
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"La Civiltà Nuragica ha, principalmente, nei nuraghi 1'espressione culturale
più evidente e significativa. I nuraghi sono delle costruzioni a torre con impianto planimetrico circolare, costruite sovrapponendo grossi
blocchi di pietra a secco, senza ausilio di malta legante, che contengono
all'interno splendidi ambienti cupoliformi, "tholoi", talvolta più
di uno, su due o più livelli comunicanti tra loro attraverso scale
ricavate nelle possenti murature. L'inclinazione delle pareti esterne conferisce
la caratteristica forma troncoconica, massiccia, elegante, che contraddistingue
in maniera inequivocabile questo singolare monumento. I nuraghi sono presenti
su tutto il territorio sardo: lungo la costa, in pianura, prevalentemente
in collina e sugli altopiani, ma anche in emergenze rocciose morfologicamente
inospitali e oltre 1.000 m. di quota sul massiccio del Gennargentu. Di
nuraghe se ne contano, attualmente 7.000, ma il numero è certamente
in difetto se si pensa agli interventi di bonifica agraria continuati nel
tempo, alla realizzazione di strade e acquedotti, allo sviluppo dei nostri
centri urbani, che hanno irrimediabilmente cancellato un gran numero di
questi segni preziosi di un passato straordinario. Se nella maggior parte
dei casi i nuraghi si presentano in forme semplici, altre volte evidenziano
un elevato grado di complessità architettonica come nei tipi plurimi,
a più torri. Due, tre, quattro, talvolta cinque torri unite da cortine
murarie, disposte secondo una precisa volontà edificativa, con schemi
e modelli, però, non sempre canonizzati. Questa tipologia raggiunge
la massima espressione nel territorio oggetto di questa analisi. Un'area
geografica idealmente delimitata dai nuraghe "Is Paras" di Isili, "Arrubiu"
di Orroli, "Su Nuraxi" di Barumini, un territorio esteso, dove si incontrano
due regioni distinte: la Marmilla e il Sarcidano. Terre di grano la prima
e di millenarie tradizioni agrarie; di grano e di allevatori il Sarcidano.
Terre ricche, comunque, già in età nuragica, in grado di
produrre abbondanti derrate alimentari necessarie per consentire ai Principi
nuragici la costruzione di tre tra i maggiori esempi di nuraghe finora
conosciuti e di altri, nell'immediato intorno, numerosi e ben dimensionati.
"Is Paras" si erge appena a settentrione dell'abitato di Isili, a dominio
delle sottostanti regioni aperte a Occidente. Si tratta di un nuraghe trilobato,
ossia dotato di un bastione con tre torri disposte ai vertici, angoli di
un triangolo.
Il bastione si appoggia strutturalmente ad una torre più antica che
risulta epicentrica rispetto al corpo trilobato aggiunto, ben più
evidente per dimensioni ed altezza. Il materiale da costruzione è
il calcare bianco, in blocchi piuttosto regolari. A1 suo interno, è
possibile accedere alle tholos della torre principale, la più grande
e la più elegante tholos nuragica, alta ben 11 metri su un diametro,
alla base, di 7 metri. Il nuraghe " Arrubiu " di Orroli, è posto
al limite orientale dell'altopiano basaltico di "Pran'e muru", un rilievo
in grado di spaziare visivamente a 360° e, pertanto, fortificato con
numerosissimi nuraghi. É di tipo complesso, pentalobato, ossia con
cinque torri unite da cortine murarie rettilinee poste a racchiudere una
torre più antica. Il bastione contiene al proprio interno un cortile
nel quale è ricavata una cisterna, riserva idrica indispensabile
per 1'approvvigionamento della guarnigione. All'esterno di questo edificio,
corre un possente ante-murale in cui si contano nove torri raccordate da
muri ciclopici. Alcuni saggi di scavo, eseguiti oltre 1'antemurale, hanno
evidenziato i resti di un villaggio di capanne e tracce consistenti di
una frequentazione del sito in età romana. Il complesso nuragico
"Su Nuraxi" sorge alla periferia occidentale di Barumini. Il sito venne
riportato alla luce dopo una serie di campagne di scavo protrattesi durante
il primo quinquennio degli anni Cinquanta. É costituito da un possente
bastione quadrilobato, con le quattro torri disposte verso i punti cardinali,
attorno ad un mastio originario. Il bastione è, a sua volta, cinto
da un antemurale con sette torri. All'esterno si estende un villaggio di
capanne riferibili all'Età del Ferro (IX - VI sec. a. C.). Cospicue
le testimonianze di età Punica e Romana che attestano una frequentazione
del sito anche in età storica. Ma, questo territorio non ha espresso
solo nuraghi. Infatti, proprio al centro di quest'ipotetico triangolo sorge
il più importante santuario di età nuragica finora messo
in luce, conosciuto con il toponimo di Santa Vittoria, in agro di Serri,
nome originato dalla presenza, nelle vicinanze, di un tempio cristiano
di tradizione bizantina. L'area archeologica, parzialmente indagata nei
primi decenni di questo secolo, è costituita da un'area sacra nella
quale sono stati individuati un tempio "a pozzo" e un secondo luogo di
culto a pianta rettangolare. Adiacente a questi spazi si sviluppa il cosiddetto
"recinto delle feste", una grande cava circolare sulla quale si aprono
alcune capanne e una teoria di loggette, interpretabili quali ambienti
funzionali al mercato. Nuove indagini potranno definire con maggior precisione
e dovizia di dettagli il significato di questo luogo dal fascino incredibile,
apportando nuovi contributi alla storia di queste terre. (archeologo Giorgio Murru)"
Tra l'eta' nuragica e il I° millennio dopo Cristo
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documento-
Le popolazioni della Sardegna ebbero pochi nemici
esterni all’Isola, perlomeno fino a circa il 500 avanti Cristo. Fino a quel periodo le lotte furono
esclusivamente tra gli stessi sardi nuragici per questioni di territorio,
di bestiame, supremazia di un gruppo sull'altro ecc.. Le presenze straniere
erano limitate a piccoli gruppi di navigatori provenienti dalla Fenicia,
dediti ai commerci e che si insediarono nelle zone meridionali costiere.
Fu una pacifica convivenza fatta di scambi di merci. I fenici, abili navigatori,
coprivano le rotte che dall’Africa portavano alla Spagna e alla Francia
e scambiavano le merci che trasportavano con prodotti delle miniere sarde
o capi di allevamento o prodotti dei campi.
Tale pacifica coesistenza si
protrasse fino al 500 a. C. quando i cartaginesi affermarono
la loro supremazia
sul Mediterraneo e invasero la Sardegna sottomettendo dopo dure battaglie
le popolazioni nelle zone costiere, mentre buona parte dei sardi ripararono
nelle aree più interne dove continuarono la loro lotta ogni volta
che i punici provavano ad occupare anche quelle terre.
Nelle zone che occuparono i cartaginesi portarono la loro religione assai
crudele che voleva il sacrificio alle divinità dei primogeniti delle famiglie nobili.
Di positivo i cartaginesi introdussero in Sardegna la coltivazione del grano, migliorarono
i sistemi di pesca e fecero conoscere l’estrazione del sale marino.
I romani giunsero in Sardegna nel corso delle guerre contro Cartagine e, quando
questa fu definitivamente sconfitta, la Sardegna divenne elemento strategico
della dominazione romana sul Mediterraneo.
I romani sottomisero tutta l’Isola.
Abili costruttori di vie di comunicazione, raggiunsero tutte le zone interne
dove da tempo abitavano quelle popolazioni che i punici non erano riusciti
a sottomettere. Dopo aspre battaglie anche quei territori furono sottomessi,
ma mai completamente. I romani, infatti, preferirono allentare la morsa
su queste popolazioni e dedicarsi ad un miglior controllo delle aree costiere
e delle zone produttive, come le miniere e la piana del Campidano granaio
di Roma. Quando nei domini romani cominciò a diffondersi il
cristianesimo,
la Sardegna divenne terra di esilio per quanti riuscirono ad evitare la
morte. I cristiani esiliati erano solitamente condannati a lavorare nelle
miniere e la loro presenza e le loro testimonianze radicarono velocemente
il cristianesimo nella nostra Isola.
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la
giudicessa Eleonora d'Arborea
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Il medioevo e il passaggio al II° millennio
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documento-
Con
la decadenza dell’Impero romano, verso il 500 d. C., la Sardegna conobbe
nuovi occupanti.
Per primi i Vandali africani che imposero il loro dominio
sulle città costiere.
Furono sostituiti assai presto dai Bizantini
che imposero all’Isola una asfissiante burocrazia, tesa ad imporre tasse
e balzelli. La Sardegna fu governata da un inviato di Bisanzio,
lo judex,
e controllata da un esercito agli ordini di un dux.
In quest’epoca il cristianesimo si diffuse in tutta l’Isola.
Quando gli Arabi, verso l’800
dopo Cristo, divennero i padroni del Mediterraneo, la Sardegna si trovò
di colpo isolata e dovette pensare ad autodiffendersi dalle loro scorrerie
piratesche.
Lo judex divise il territorio in quattro province
affidandole a suoi luogotenenti che, però, si resero indipendenti e divennero
judices
(o re) dei territori loro affidati, chiamati Giudicati;
quello di Cagliari, quello di
Torres, quello di Gallura e quello di
Arborea.
Ebbe inizio un periodo assai importante,
di autonomia e anche di democrazia.
Il Giudice era la guida e il condottiero, ma le decisioni
più importanti erano affidate alla corona de logu,
il parlamento del Giudicato.
Ciascuno dei Giudicati aveva le sue leggi, le cartas de logu.
Quest’epoca durò, più o meno, 500 anni durante i quali pur sotto una
certa influenza esercitata dalle repubbliche marinare
di Pisa e Genova,
la Sardegna autodeterminava la propria economia e la propria cultura.
Ma la posizione dell’Isola era troppo importante e l’influenza di Pisa e Genova,
in guerra tra loro per il predominio sui mari, divenne, alla fine, una
occupazione armata.
Alla fine di brevi e confuse vicende
politiche la Sardegna, verso il 1300, fu
attribuita dal Papa Bonifacio VIII alla corona d’Aragona.
Gli Aragonesi, dopo brevi campagne militari contro i Pisani, sottomisero i Giudicati sardi
ad eccezione di quello d’Arborea.
Il Giudicato d’Arborea tentò anche
l’unificazione di tutta l’Isola e quasi vi riuscì quando, dopo quarant’anni
di battaglie, la Sardegna escluse le città di Cagliari e Alghero,
fu sotto il suo dominio.
Il sogno si interruppe a Sanluri dove Martino il Giovane re di Aragona,
sconfisse i Sardi e conquistò definitivamente
tutta la Sardegna. Alla sua morte non lasciò eredi e, attraverso
alcuni passaggi dinastici, la Sardegna passò sotto la Corona di
Spagna.
La dominazione spagnola durò circa 400 anni,
influenzando fortemente la lingua, la cultura e i costumi delle popolazioni della Sardegna.
A seguito di un trattato, quello di Londra del 1718,
il regno di Sardegna fu ceduto ai Savoia che, attraverso un
processo di integrazione, fecero del Piemonte e della Sardegna un unico regno, il regno di Sardegna. Al
termine delle guerre di Indipendenza, cominciate il 1848, il regno di Sardegna
si trasformò in regno di Italia, era il 1861
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una spiaggia in Sardegna Vacanze da sogno
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L'eta'moderna
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documento-
Da quel periodo ai giorni nostri, non si può
affermare che la Sardegna abbia conosciuto momenti di grande prosperità.
Dal punto di vista politico si è arrivati con grande lentezza e fatica ad una
sorta di autonomia mai utilizzata appieno. Neanche i sardi che nel tempo hanno guidato la
politica italiana, o hanno avuto in essa posizioni di rilievo, sono riusciti
a garantire alla Sardegna la certezza dell’applicazione di norme pur garantite
dalla Costituzione.
La scarsa incisività politica ha sempre avuto
riflessi diretti sulla politica economica. La Sardegna ha conosciuto, e
conosce tuttora, movimenti di emigrazione e di
spopolamento piuttosto consistenti.
L’economia industriale è stata quasi fallimentare.
L’agricoltura,
l’agroalimentare e l’allevamento,
potenzialmente garantiscono una buona
redditività ma necessitano di strategie più incisive per
non restare isolati in un mercato quasi di "nicchia".
Solo in questi ultimi
anni il turismo lascia intravedere le sue enormi potenzialità. Ben
poco per un’Isola da sempre troppo isolata. Perla del Mediterraneo, ma
nascosta. Bisogna sperare che i timidi segnali di affrancamento dai poteri
forti come:
l’istituzione della zona franca, il decollo del porto container a Cagliari, la deregulation
nei trasporti aerei e marittimi, il federalismo economico e fiscale, il
federalismo politico, riescano ad invertire la pericolosissima tendenza
che spinge la Sardegna verso nuove colonizzazioni.
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